Per una settimana, lo spazio di Gate 26A cambia attribuzione e si trasforma in un “Capsule Hotel”.
Tipici del Giappone, i Capsule Hotel sono definiti dalla propria forma a casellario; composti da piccole celle delle dimensioni medie di 2x1 metro, dove i lavoratori si fermano per soggiornare anche solo una notte piuttosto che impiegare troppo tempo per tornare a casa propria.
Lo spazio della galleria diventa per Gabriele Lei una di queste celle (aperta sette giorni su sette, 24/24h) dove stipare e riunire (come fosse la propria camera) un’infinità di scatti/scarti fotografici prodotti in più anni.
Una grande vetrina aperta sulla strada, viola completamente l’intimità del lavoro, invitandoci in maniera voyeuristica ad avvicinarci e ad osservare una montagna di carta, con la voglia di frugare, spinti dalla curiosità, peculiarità insita dello spirito umano .
Queste visioni sono riconducibili a momenti freezati nel tempo ed insieme agli scarti fotografici, buttati a terra, diventano impregnati di un’eterna malinconia che li lega ad un filo trasparente .
Sono immagini che ci raccontano una microparticella di Tokyo, dove tutto è in perenne movimento e dove il riposo è concesso solo quando si torna nella propria capsula.
L’unico dato chiaro che abbiamo è che siamo a Tokyo, ma non sappiamo dove e quando.