GINO D’UGO

TEMPO FERTILE

 
“Quello che mi prefiggo è creare un punto di rottura tra l’individuo e gli automatismi (reificazione) in cui la società tende ad omologarci” Gino D’Ugo.
Gino D’Ugo si è evoluto nel tempo mantenendo la matrice scultorea che lo contraddistingue. L’artista con Tempo Fertile sviluppa un’opera che, se scomposta, possiede molteplici simboli legati a significati che conducono ad un racconto esperienziale. L’installazione è composta da circa mille uova disposte a terra le quali creano un riquadro che copre parte dello spazio. Su di esse viene proiettato il monoscopio - dal greco μόνος mónos "uno-unico" e σκοπέω skopéō "osservo"-  che rimanda alla vecchia immagine della sospensione dei canali televisivi Rai.
La perfezione e la stabilità del quadrilatero pone il focus verso una dimensione immanente. Un aspetto orizzontale, dunque, dove l’uovo riconduce alla nascita dell’uomo evidenziando la sottile demarcazione tra oggetto e coscienza. Un contenitore dal contenuto in perpetuo sviluppo e mutamento. Un contenuto intrinseco che ora ha necessità di fermarsi e di riflettere per capire se stesso e il suo rapporto con il mondo che corre ad una velocità vertiginosa. Velocità che disorienta e compromette tutto. Le innumerevoli uova fanno da sfondo alla luce discendente che proietta l’immagine del monoscopio. Lo spazio è riempito dal suono ininterrotto del “vuoto televisivo” con l’obiettivo di creare un’alienazione temporanea sulla base del consueto concetto di “rinunciare per far emergere”. In questo modo il pubblico viene immerso in una dimensione altra con l’obiettivo di farlo arrestare, di bloccare il flusso di informazioni e di input, per un periodo indefinito. Un tempo tanto sconfinato quanto intenso per poter recuperare la propria condizione.
L’opera riconduce all’uomo e nello specifico alla singolarità, indispensabile per la costruzione di un insieme, necessaria per la sostenibilità di una comunità capace di ritrovare e condividere valori. L’assenza di punti di riferimento conduce alla perdita della dimensione reale e guida verso la riflessione. A tal proposito l’artista trae ispirazione da due opere per lui fondamentali, ovvero: Quadrato Nero (1916) e Quadrato Bianco su fondo bianco (1918) di Malevich. Di queste Gino D’Ugo ne riprende il punto 0 delle forme, per una rappresentazione non-oggettiva, e la percezione dell’assenza - l’assenza assoluta - che rappresenta l’azione pura cioè l’impulso fondante per costruire il mondo avendo percezione di sé.
L’esperienza degli elementi che costituiscono l’installazione perdono peso in termini di tangibilità e materialità trasformandosi a contatto con l’immaginario collettivo. L’artista vorrebbe che l’esperienza dell’opera fosse un esperimento sensoriale capace di essere interiorizzato e metabolizzato. Uno “strumento” per innescare visioni tali da poter ampliare, in termini di senso, l’opera tutta. Tempo Fertile si assume l’impegno di offrire una possibilità di ragionamento con l’obiettivo di porsi dei quesiti rispetto al quotidiano.
L’associazione dei diversi elementi è parte integrante dello slittamento fuori dalla codificata ragione. Questa interferenza vuole evidenziare lo spazio che ci è conforme e quello della relazione sviluppando un binomio contrastante da ciò che i media ci propongono con le loro immagini univoche.
Valentina Muzi

BIO.

Gino D’Ugo, romano, classe 1968. Si è diplomato in scultura nel 1993 presso l’Accademia delle Belle Arti di Roma. Durante gli studi accademici ha frequentato anche il corso di pittura presso la Sommerakademie di Salisburgo. Nel ‘92 vince il premio scultura Filippo Albacini presso l’Accademia Nazionale di San Luca di Roma. Nel ‘93 si trasferisce sull’Appennino Tosco-Emiliano e si dedica alla scultura intesa come forma a sé stante, avvertendo però elementi di relazione rispetto ai concetti esistenziali. In questi anni partecipa a diversi simposi internazionali, quali: Budapest, Hoier, Villany, e Muritz dove consegue il premio Kunst und Nature in Muritz NationalPark realizzando un’installazione site-specific per il parco. Nel 1995 viene presentata la sua prima personale Legno e Ferro presso il Foyer del Teatro Furio Camillo di Roma. Nel 1996 vince il premio Massenzio per Visioni Luminose. Dopo due anni vissuti sull’Appenino, nei quali si riappropria della percezione empatica in relazione al tempo, al luogo e al rituale quotidiano, ritorna nella capitale (1997) con il lavoro La stanza dei passaggi per l’esposizione Gruppo Filtro a cura di Giuliana Stella e Laura Salvi presso il Teatro degli Artisti di Simone Carella. Dal 1998 al 2003 collabora con Studio Impresa di Roma nella progettazione e realizzazione di interni, design e arredamento. Nel 2003 il processo artistico cambia, in termini di approccio e metodologia, puntando l’attenzione verso la fotografia e la parola. Dal 2004 vive a Lerici (SP) dove entra in contatto con altre realtà artistiche e delineando varie collaborazioni ed esposizioni. Tra gli eventi si possono ricordare: la Collettiva del 2007 che vide protagonisti J.Benassi, Francesco Bruno C., L.D’Anteo, G.D’Ugo, presso lo studio Baus a Città della Spezia. A Travers a cura dell’Assessorato alla Cultura di Lerici; Out…The World presso la Showroom Schiffini di La Spezia (con testo critico di Enrico Formica) e, in collaborazione con Dino Baudone, l’opera audio visiva site-specific Piattaforma per RUN a cura di Jaya Cozzani.

Nel 2013 partecipa a “Fino al cuore della rivolta” presso Torre Malaspina, Fosdinovo (Massa-
Carrara). Nel 2016 viene invitato a esporre nello spazio indipendente di Fourteen ArTellaro
(SP) dove presenta il lavoro “Perdutamente t’amo”. Successivamente, in qualità di Direttore
Artistico e Curatore dello spazio creativo delinea diverse tematiche per la programmazione
annuale delle esposizioni, come ad esempio: “Eppur si muove” e “La superficie accidentata”
(in corso).
Nel 2017 espone presso Mestrovic Pavilion di Zagabria per “La fine del nuovo cap.XIII” a cura
di Paolo Toffoluti.
Nel 2018 partecipa alle collettive #NoPlace4 presso la Ex-Fabbrica Ceramica Vaccari in
Sarzana (SP), a cura di Umberto Cavenago; e per Arteporto con “OLTREMARE” all’interno dei
Porti Imperiali di Claudio e Traiano a Fiumicino (RM) curata da Sandro Polo e Silvia
Calvarese.
Dal principio della scultura il suo interesse slitta sempre più frequentemente verso la forma
come spazio di interrelazione e concetto, a volte modificando e reinterpretando il significato
corrente dell’oggetto, anche utilizzando piccoli gesti del quotidiano. L’azione prende allora
dei risvolti nell’ambito del politico o della sacralità quotidiana ma con apertura di
interpretazione al libero arbitrio.